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09 apr 2025

Un Papa Santo, amico della Valle

di Luciano Caveri

L’altra sera, in una riunione politica, sono stato avvicinato da una persona che ha la registrazione della mia telecronaca della Messa che Giovanni Paolo II pronunciò nel grande prato di Montfleury alle porte di Aosta il 7 settembre del 1986. La conservano perché con il marito vennero benedetti dal Papa, perché neosposi.

Così sono andato con la memoria a quella diretta che feci per il canale nazionale con l’evidente apprensione di un neofita nell’approcciarsi ad una funzione, dovendo studiare i momenti in cui potevo parlare senza dire soprattutto delle stupidaggini.

Poco tempo dopo, il Papa, innamoratosi della Valle d’Aosta scelse per dieci anni come sede delle sue vacanze, lo incontrai come deputato. Vedo delle mie foto da vero e proprio sbarbatello qual ero e non posso che pensare con commozione alle sue parole gentili, quando rimarcava come un fatto positivo che fossi un deputato giovane.

Oggi posso dire, avendolo incontrato in altre occasione anche con i miei bambini più grandi, di aver incontrato un Santo e la signora che ho citato all’inizio ha scherzato con me, dicendo che il primo miracolo lo fece con loro, visto che quarant’anni dopo con il marito sono ancora sposati!

Ho più volte detto che quel che mi colpì in questo uomo la prima volta che lo vidi, dopo il suo arrivo ad Aosta in Piazza Chanoux, in una sera bellissima di fine estate, fu la sua vigoria fisica e la sua capacità di empatia con la comunità, di cui divenne amico. Memorabile una sua frase: “Nel metter piede in questi luoghi, colpisce subito la constatazione di trovarsi in un posto privilegiato, che in breve spazio di terra raccoglie scenari di così grande bellezza: catene di monti, nevi, ghiacciai, fiumi, prati, fondovalli. Dal punto di vista delle dimensioni geografiche, la Val d’Aosta risulta la più piccola Regione d’Italia, ma in essa si affacciano le cime più alte d’Europa”.

Grazie ai miei incarichi pubblici, lo incontrai più da vicino, sino all’ultima estate del 2004, la sua ultima vacanza, quando la malattia lo stava gravemente minando e nell’Aprile dell’anno successivo il Papa polacco morì. Una parabola di vita come insegnamento.

Il momento più emozionante, come ricordo, è quel dicembre del 2003, quando la Valle d’Aosta donò al Papa l’albero di Natale: un abete di 27 metri che venne collocato al centro di Piazza San Pietro e con la delegazione valdostana vedemmo il Papa nei suoi appartamenti e nell’anticamera notai aperto su un leggio un grosso libro fotografico sulla Valle d’Aosta!

Molti e interessanti i suoi discorsi in italiano, in francese e anche con qualche saluto in patois, che il Pontefice pronunciò in Valle. Estrapolo due passaggi, il primo pronunciato nel suo buen retiro di Les Combes il 20 luglio 1989 davanti ai giovani: “Ecco, la Val d’Aosta, ecco le montagne, le Alpi. In queste montagne tante persone, persone di questa terra, Italiani, ospiti di altre terre di diverse nazionalità, tutti vengono qui. Vengono con una speciale sfida. Le montagne sono una sfida. Le montagne provocano l’uomo, la persona umana, i giovani, e non solamente i giovani, a fare uno sforzo per superare se stessi. Ciascuno di noi potrebbe camminare sulle strade, sulle piazze delle nostre città con tutte le comodità, e viaggiare, perché oggi camminare vuol dire sempre di più usare un veicolo. Invece qui nelle montagne si viene per trovarsi davanti a una realtà geografica che ci supera e ci provoca ad accettare questo superamento, a superare noi stessi. Superare noi stessi. E si vedono questi camminatori, si vedono questi turisti, questi alpinisti, questi scalatori qualche volta eroici che, seguendo la parola tacita, la parola maestosa, l’eloquenza perenne delle montagne, camminano, scalano superando se stessi per arrivare alle vette molte volte tra difficoltà, molte volte con una speciale tecnica alpinistica. Ecco la Val d’Aosta, la vostra regione, la vostra patria ci parla di questo grande problema umano: superare se stesso. Ma vorrei tornare ancora una volta a questo “camminare” alpinistico così tipico delle montagne della vostra regione, la Val d’Aosta, le più superbe montagne delle catene alpine, le più superbe montagne di tutta l’Europa. Si vede che questi camminatori alpini, scalatori mai camminano da soli. Specialmente se hanno un programma alpinistico più ambizioso e più rischioso, camminano sempre in due, in tre, in quattro. Possiamo dire che il modo di fare l’alpinismo è un modo “sinodale”. Si deve trovare una strada comune, un cammino comune, e questo è anche il metodo tradizionale della Chiesa, che viene dalla esperienza dei dodici, dal Cenacolo e poi si trasferisce nelle generazioni sempre nuove”

. Il Papa che disse ai valdostani “la vostra patria”: una bellissima lettura della nostra affezione alla nostra Valle.

Mentre, sempre con un pubblico di giovani, presso il campo sportivo di Introd, il 15 luglio del 1990: “La prima parola che mi è venuta in mente non era in italiano, non era in francese. Era in latino: “Petra autem erat Christus”. Dice sant’Agostino che così si spiega anche il nome Petrus. “Petrus a petra”. “Petra erat Christus” e da questo nome viene anche il nome di Pietro. Ma non so perché questa parola mi è venuta in mente, ma ho pensato subito alle montagne, perché tutto si trova in questo ambiente stupendo: la Val d’Aosta, le montagne, soprattutto il Monte Bianco, poi anche il Gran Paradiso e tante altre. Allora certamente le montagne, specialmente queste alte montagne, sono pietre. Ci sono prati, ci sono boschi, il verde, ma al di sopra del verde c’è la pietra. Questo ci porta avanti nella nostra riflessione. Se Cristo è la pietra vuol dire che Cristo ci chiama a una salita. L’uomo, la donna, ciascuno di noi è chiamato a una salita. La vita umana è una salita. Lo sentono soprattutto i giovani. Essi volentieri compiono delle salite in montagna. Ma c’è un’altra salita, il cui nome è Cristo. È una salita interna, una salita che porta ad essere più, ad essere più umani, più cristiani, ad essere più vicini a Cristo, a questa pietra, a questo monte, a questa cima”.

Pensieri profondi, che servono a ricordare San Giovanni Paolo II a vent’anni dalla sua morte.