Leggo un’intervista sul Corriere a Edith Bruck nello stesso giorno in cui vengono liberate tre giovani ebree, che erano ostaggio dei palestinesi dopo gli orrori causati da Hamas il 7 ottobre. Una liberazione con una folla aggressiva con la protezione di terroristi di Hamas d’improvviso tornati in divisa militare, dopo essersi mischiati in veste civile fra la popolazione quando era rischioso manifestare con passamontagna e fascia verde attorno alla testa.
Ricordo che la frase più comune è “Lā ilāha illā Allāh, Muḥammadun rasūlu Allāh” (“Non c’è altro dio che Allah, e Maometto è il suo Profeta”), che è la Shahada, la dichiarazione di fede islamica.
In altri casi richiamano l’idea del jihad, inteso da Hamas come una lotta contro Israele, anzi la sua distruzione, per la liberazione della Palestina.
Torno alla Bruck: chi non lo sapesse, è una scrittrice, poetessa e testimone della Shoah, nata il 3 maggio 1931 a Tiszabercel, un piccolo villaggio dell’Ungheria. Di origine ebraica, la sua vita è stata profondamente segnata dalle atrocità dell’Olocausto. Nel 1944, quando era ancora adolescente, fu deportata insieme alla sua famiglia nei campi di concentramento nazisti, tra cui Auschwitz, Dachau e Bergen-Belsen. Gran parte della sua famiglia non sopravvisse.
So già che qualcuno mi commenterà , magari aggredendomi, “ma con i palestinesi come la mettiamo, non è stato un genocidio?”.
Ad operare questa parola farei molta attenzione, specie da parte di chi compara Gaza all’Olocausto degli ebrei. Partendo da un non secondario problema lessicale: gli ebrei tendono a preferire il termine Shoah al posto di Olocausto per diverse ragioni storiche, linguistiche e simboliche.
L’idea implicita nel termine suggerisce un sacrificio religioso accettato o destinato a una divinità. Mentre Shoah è un termine ebraico che significa “catastrofe” o “distruzione”. È usato per descrivere l’annientamento degli ebrei europei durante la Seconda guerra mondiale in modo più diretto e privo di connotazioni religiose o sacrificali. Riflette meglio la realtà di un evento che fu una tragedia immane e un atto di distruzione deliberata.
Anche il più grande amico di Israele - che resta un Paese con regole democratiche, eccezione in Medio Oriente - non può che avere seguito con l’escalation della risposta militare su Gaza e sperare che una soluzione negoziale interrompesse la reazione israeliana al proditorio attacco di Hamas che ruppe un equilibrio già precario.
Ora la tregua c’è stata, ma i negoziatori palestinesi sono stati gli stessi terroristi di Hamas. Definirli tali corrisponde alla mia cittadinanza europea. Hamas è classificato come un gruppo terroristico dall’Unione Europea. Questa designazione riguarda sia l’ala militare di Hamas, le Brigate Izz al-Din al-Qassam, sia l’organizzazione nel suo complesso.
La decisione di includere Hamas nella lista delle organizzazioni terroristiche dell’UE è stata presa nel 2003 e confermata in seguito, a causa delle sue attività violente, inclusi attacchi contro civili.
Perché citare la Bruck?
Perché le critiche a Netanyahu e al governo di Israele stanno ormai in troppi casi sfociando in palese antisemitismo.
Dice Bruck e cito due frasi. La prima riguarda l’arrivo al campo di sterminio: ”Le prime parole che ci gridarono i soldati con i cani lupo ringhianti furono Rechts! e Links!, destra e sinistra. Mia sorella Adele, di quattro anni più grande, fu mandata a destra. Mia madre Berta e io fummo mandate a sinistra. Si avvicinò un soldato. Mi disse: vai a destra. Io mi avvinghiai a mia madre, non volevo lasciarla, però quello mi prese per l’orecchio, quasi me lo staccò, e mi trascinò via: “Rechts!”. Io piangevo disperata, ma quel tedesco mi stava salvando la vita. Quelli a destra andavano ai lavori forzati; quelli a sinistra direttamente nelle camere a gas”.
La seconda la triste realtà, l’antisemitismo: ”È sempre esistito ed esisterà sempre; perché l’umanità avrà sempre bisogno di un capro espiatorio. E nei prossimi anni sarà peggio. Quand’ero bambina, ci dicevano: voi ebrei siete avari, sporchi, brutti. Quante volte mi sono sentita dire: sei troppo bella per essere ebrea. E ancora adesso sento dire: voi ebrei”.
Capita anche a me, da parte di persone impensabili, sentire un antisemitismo viscerale.
Mi viene in mente mio papà, militare internato alle porte di Auschwitz, quando raccontava con dolore gli orrori che aveva visto. Anche per questo Israele deve vivere e chi vuole morto questo Paese per me non può essere un interlocutore.