Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
12 gen 2025

Quando c’erano le lettere

di Luciano Caveri

Solo nei giorni di vacanza riesco a leggere i libri in modo immersivo. Questo significa attaccarmi al libro e, specie se mi appassiona, non mollarlo davvero sino a che non l’ho finito. Nel tempo ho sviluppato da autodidatta una tecnica di lettura piuttosto rapida, che - l’ho guardato per curiosità - non differisce molto da modalità suggerite da alcune tecniche.

È stato il caso del libro una scrittrice italiana che vive da anni in Giappone, Laura Imai Messina. Il libro si chiama “Tutti gli indirizzi perduti” e la scrittura è molto bella.

Racconta una storia singolare e a tratti commovente che parte da un luogo fisico esistente. Si tratta nella realtà - e non solo nel racconto che ha altro respiro - di un ufficio postale in disuso, che è stato trasformato in un'opera d'arte, accogliendo lettere che arrivano da tutto il mondo, indirizzate a persone che non ci sono più, amori non corrisposti, persino oggetti e, in certi casi, anche rivolte a se stessi. Lettere con mittente ma senza un destinatario vero.

Si chiama "Ufficio Postale alla Deriva" (Hyōryū Yūbinkyoku), è un'installazione dell'artista Saya Kubita costruita nell'isola di Awashima, nel Mar del Giappone.

Poiché i libri vanno letti e non raccontati lascio a chi lo vorrà la voglia di affrontarlo.

Ma i libri smuovono qualcosa che va al di là di loro, perché hanno la forza di fare da molla sui nostri pensieri e i nostri sentimenti.

Ha scritto Umberto Eco: “Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria! Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è una immortalità all’indietro”.

Nel caso di cui parlo oggi, ho pensato alle lettere e alla loro lenta agonia.

Uno dei regali che ricevetti da bambino - e non solo una volta - era la carta da lettere con il proprio nome. Ne ricordo una molto elegante di colore azzurro e le lettere che spedivo erano ad amici distanti e a filarini estivi. Avevo anche in una cassetta smarrita lettere di chi mi rispondeva e devo dire che la perdita di questo carteggio è un danno. Ricordo la tenerezza di quando da “grande” le ritrovavo nel cumulo di cose che stipavano la casa di famiglia.

Mi vien da sorridere a pensare come le lettere siano state parte del mio mondo.

Da deputato ricevevo della cancelleria: erano scatole in cui c’erano anche buste e carta con inciso “Camera dei deputati”. E la usavo non solo per la corrispondenza d’obbligo, ma anche per un uso abbastanza sentimentale. Ad esempio per un lungo periodo mandavo le felicitazioni alle famiglie dei nuovi nati in Valle d’Aosta. Trovo ancora qualcuno, ormai adulto, che l’ha trovato nei cassetti di casa dei genitori.

Oggi la lettera agonizza ed è stata sostituita dalla messaggistica immediata digitale nella sua tristezza se comparata alla forza di una vera lettera. Oppure viene sorpassata dalla posta elettronica, che è destinata anch’essa all’oblio di caselle postali piene da svuotare per lasciare posto. Se nostalgia dev’essere, allora questa è nostalgia allo stato puro. Perché la lettera appare come qualcosa che crudelmente è morta e la cassetta della posta delle nostre case ne è diventata incredibilmente orfana.

Quando arriva qualcosa sono multe, bollette, pubblicità e altre cose di questo genere.

Rare le lettere, che sono ormai una straordinaria eccezione che accende un vivo stupore. Ne ricevo una ogni Natale da un mio compagno di scuola delle elementari, Adriano, che ha vividi ricordi della nostra infanzia (a differenza mia che sono smemorato) e mi racconta qualche aneddoto in comune.

Quest’anno ha ricordato quando da ragazzini con crudeltà vera e propria sparavamo agli uccellini con un fuciletto Flobert, quasi sempre senza fare vittime.

Ha scritto Aldo Cazzullo: “Comunicare per lettera richiedeva tempo, riflessione, brutte copie. Scrivere, comprare il francobollo, spedire, attendere la risposta era molto più complicato che chattare, mandare una mail, scrivere un tweet, linkare qualcosa su Facebook, cliccare un «mi piace»; ma lasciava un segno, fissava un punto fermo, indicava un sentimento maturo”.

Nel vuoto delle lettere sparite, ricevo ancora qualche lettera anonima, generalmente cattivissima e offensiva, e finisce quasi per farmi piacere e dare un senso di vitalità pur decadente, prima di essere con giubilo cestinata.