D’estate penso alle estati. Mi riferisco a quelle della mia vita. In fondo ciascuno di noi, con il passare del tempo, porta sulla schiena uno zaino sempre più colmo di ricordi.
Io, tra l’altro, ho una forma di memoria piuttosto curiosa, che chissà come evolverà – se ci arriverò – nella vecchiaia più estrema. Mi capita di incontrare persone con cui ho condiviso del tempo e delle vicende e molti di loro mantengono ricordi molto più vividi dei miei. Per altro ogni tanto da chissà quale cassetto nella testa spuntano d’improvviso – come dei cimeli – momenti di vita che temevo sepolti per sempre.
Credo che siano scherzi della “memoria selettiva”, che – secondo gli esperti – è un meccanismo del cervello che consente di ricordare determinate informazioni, eventi o esperienze, filtrando e scartando altre che vengono considerate meno rilevanti o addirittura dannose. Non è semplicemente un "dimenticare" passivo, ma un processo attivo di selezione che influenza la nostra percezione della realtà e il modo in cui costruiamo la nostra storia personale.
Così le estati. Come diceva Oscar Wilde: “Il cuore conosce l’estate, anche nelle gelide sere d’inverno”.
Ognuno di noi funziona come una matrioska e dunque siamo tanti noi stessi che si sono succeduti nel tempo. Nei tratti della nostra esistenza cambiamo e non solo per una questione ovvia di crescita e di sviluppo, a seconda delle età e delle esperienze, ma sono anche circostanze esterne che ci forgiano nel teatro della nostra vita.
Chissà se ha ragione Ingmar Bergman, quando diceva: “Invecchiare è come scalare una grande montagna: mentre sali le forze calano, ma lo sguardo è più libero, la vista più ampia”.
Per le estati, in retrospettiva, comincio dalla memoria evocativa, che riguarda in particolare le mie lunghe vacanze al mare, ad Imperia. Da una parte esistono ricordi che evoco con il solo pensiero, dall’altra – specie per quando ero piccolo – c’è quella che chiamano la memoria episodica e cioè guardando delle fotografie tornano a galla ricordi sepolti, in parte vere e in parte fantasiose. Le foto agiscono come innesco.
Talvolta sembrano quei filmini di un tempo o spezzoni da TikTok– il Social più gettonato dai ragazzini – che mi vedono bambino con la costruzione dei castelli di sabbia, delle piste per le biglie, delle lunghe nuotate con la maschera, dei giochi in acqua con la palla, delle scorrazzate in motorino, dei falò in spiaggia, dei muretti la sera dove trovarsi.
Poi viene la montagna: le faticose gite (papà:”siamo quasi arrivati”), le scorpacciate di fragoline di bosco, i funghi raccolti e spezzettati che seccano al sole, le torte della zia, i terribili temporali in alta quota, imparare il nome delle vette, i bagni nei laghetti.
Ora, davanti al computer a scrivere, sono come investito da sensazioni immersive, altro che la realtà virtuale. Ecco perché si diventa noiosi con i figli e forse un giorno, se ne avrò, con i nipoti rispetto al tema, ormai capitale, del rapporto fra la vita reale e quella dentro il mondo digitale che ci attira ed ipnotizza. Capita di dire o di pensare cose del genere: “Spegni tutto, accendi te stesso”. Oppure: “Non siamo nati per scorrere schermi, ma per vivere la vita”. O ancora: “Essere presenti è sempre meglio che essere connessi”.
Chissà se mai si arriverà ad una piena consapevolezza e ai rischi del tempo perduto e delle esperienze vere, quelle in carne e ossa, che riempiono la mia vita.
Con Cesare Pavese: “L’unica cosa che alla fine possediamo davvero sono le esperienze che abbiamo vissuto”.