Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
05 giu 2025

Avere qualcuno da odiare

di Luciano Caveri

Questa storia degli odiatori sui Social mi fa ribrezzo e spiace dover tornare sul tema.

Facile constatare come lo facciano con un livore degno di miglior causa e penso che ignorarli risulti la cosa migliore sia quando si nascondono nell’anonimato, ma anche quando sono riconoscibili. Spesso sono davvero dei poveracci che cercano in molti casi un loro spazietto, magari in vista delle elezioni regionali.

Leggo, tuttavia, con interesse quanto dice - intervistato con perizia da Federica Fantozzi su HuffPost - Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicoanalista, è professore ordinario di Psicologia dinamica presso la Facoltà di Medicina e Psicologia della Sapienza di Roma.

Partendo dal recente caso del professore che ha augurato la morte per la bambina della Meloni, così spiega l’intervistato: “Vedo in molti casi non l’“odiatore anonimo” di una volta, ma il rivendicatore dell’odio. Dietro molte affermazioni di odio, talvolta vere e proprie campagne, appare una rivendicazione, si lancia il sasso e non si nasconde più la mano. Cesare Pavese diceva che si odiano gli altri perché si odia sé stessi. Si odia per avere un’identità: attacco un non-io per avere un io. Se anche credessi negli identikit psicologici sarebbe comunque difficile tracciare quello dell’hater seriale. Ciò che accomuna queste persone è il bisogno di esternare l’odio. Questo mi fa pensare a un funzionamento psichico primitivo basato su dinamiche binarie: amico-nemico, buono-cattivo, bianco-nero, uomo-donna, etero-omo… L’odio è una semplificazione primitiva e difensiva che oggi spesso nasce dalla difficoltà e dall’incapacità di fare i conti con la sempre maggiore complessità delle relazioni sociali e personali”.

Ancora più duro e esplicito un altro passaggio, frutto di un lavoro sulle “mappe dell’odio” che dilaga sui Social: “Abbiamo visto che le punte erano legate al fatto di cronaca del giorno: se una squadra vince la partita, aumenta l’odio per quella squadra, e così via. Se perde, si infierisce contro lo sconfitto. Ogni occasione è buona. A volte, come nel caso da cui siamo partiti, il problema psicologico si serve di un contenitore politico; altre volte prende di mira specifiche categorie: si attacca la “fragilità” sociale degli altri per sentirsi più forti. Ma costruire nemici per bypassare le proprie angosce è il meccanismo della paranoia”.

Il caso del professore odiatore, che poi - come soppiamo - ha pure montato la sceneggiata di un tentato suicidio è interessante per la valutazione generale sul tema. Così si è espresso nella sua rubrica delle lettere al Corriere, Aldo Cazzullo: “È vero che il professore insultava con il suo nome. Ma basta dare un’occhiata anche rapida ai social per rendersi conto che le frasi peggiori, gli insulti, le minacce, le calunnie vengono quasi sempre da profili anonimi. Identità false o, peggio ancora, rubate, che quindi gettano la colpa su persone estranee e ignare. A volte questi profili falsi o rubati sono corredati da foto minacciose, spesso volti con occhiali scuri. C’è chi difende Putin, chi attacca gli ebrei (non Netanyahu; gli ebrei). Nessuno di loro è mai stato in Russia o in Israele, a nessuno di loro importa qualcosa dei soldati russi mandati da Putin a morire o dei palestinesi uccisi e affamati a Gaza. Sfogano il loro odio e il loro narcisismo. Il rimedio, torno a dirlo, non può che essere uno. La perdita dell’anonimato. Così come qualsiasi acquisto online ti obbliga a dare una carta di credito, quindi a renderti «tracciabile», a rinunciare alla privacy, allo stesso modo dovrebbe essere obbligatorio, al momento di aprire un account social, dare le proprie generalità. Lo so che a volte insulti, calunnie e minacce arrivano da persone che si firmano con nome e cognome. Ma sono la minoranza. La perdita dell’anonimato è la prima deterrenza. Altrimenti ricreeremo un clima da anni ’70, quando le parole — «processo popolare», «giustizia del proletariato», «lotta armata» — diventarono pietre, e piombo”.

Scrisse Umberto Eco: “Ci vuole sempre qualcuno da odiare per sentirsi giustificati nella propria miseria”.