Entrai per la prima nella politica elettiva, nel senso di diventare candidato e poi eletto, nel lontano 1987.
Credo che questa cosa del secolo passato faccia impressione ai giovanissimi. A me lo faceva, quando pensavo a miei nonni nati nell’Ottocento.
Ma non divago e torno al punto.
La politica la seguivo, perché sin da ragazzino pensavo che si dovesse essere informati e, senza consapevolezza, qualcuno avrebbe deciso per me.
Mi ero in qualche modo formato nelle assemblee studentesche con l’ingenuità di quegli anni e gli interessi per capire la storia della democrazia con particolare attenzione ai diritti civili.
Leggevo giornali e libri e avevo capito, anche se lo conoscevo poco come persona, il ruolo e l’importanza del fratello di mio papà, zio Séverin Caveri, un gigante della politica valdostana, purtroppo poco ricordato, malgrado il ruolo capitale per l’Autonomia della Valle d’Aosta.
Io volevo fare il giornalista(per altro a latere lo faccio ancora) e, per una serie di fortune e con una certa caparbietà che penso sia una dote, ero riuscito nell’intento di diventare praticante e poi professionista.
Per cui la politica la commentavo sugli schermi della Rai regionale non pensavo di entrarci. Poi ci sono entrato e ci sono da allora, pur con una pausa di un certo periodo senza ruoli istituzionali per mia scelta “sabbatica”.
Ora, in vista delle elezioni regionali di settembre, sono stato ricandidato con i miei colleghi consiglieri dell’Union Valdôtaine riunificata e la sezione cui appartengo ha confermato la scelta.
La tenzone elettorale è sempre un mettersi in gioco e chi non lo ha mai fatto dubito che capisca cosa sia una campagna elettorale e la sequela di riti ad essa legati. Temo non si capisca neppure quanto, se ci si impegna, sia sfidante la vita di politici che certo è piena di soddisfazioni, ma comporta anche fatiche e rinunce.
L’aurea di fancazzismo e di prebende d’oro è una rappresentazione cui ci si deve rassegnare, ma è un giudizio superficiale che ferisce chi in politica ci mette energie, tensioni e onestà. So bene che non è così per tutti: ci sono dappertutto e in tutte le attività i buoni e i cattivi.
Certo nel rapporto con i cittadini, alla ricerca del voto, molto è cambiato e sta cambiando ed è difficile ormai capire come muoversi per cercare consensi in questo mondo sempre più digitale. Mentre la politica dovrebbe restare il contatto umano di persona e quelle emozioni e esperienze che ne derivano.
L’arrivo del giorno del voto è una specie di liberazione con il momento cruciale e per certi versi solitario dello spoglio delle schede, in attesa del responso delle urne.
Capita di questi tempi di incontrare chi ti chiede se ci sarai ancora nella competizione elettorale e i toni sono ovviamente diversi a seconda di come si pongono.
Io rispondo con la sincerità che spero mi venga riconosciuta e dico che mi farebbe piacere chiudere bene quest’ultimo tratto di carriera che ho fatto con la necessaria dignità.
Ma - e questa la vera caratteristica della democrazia - ciò non dipende dalla mia volontà o dalla mia ambizione, ma davvero tutto al voto, che è nelle mani degli elettori e bisogna rimettersi alla loro volontà.
Penso, forse immodestamente, che l’esperienza accumulata possa ancora servire a qualcosa e principalmente a passare il testimone e restituire quanto acquisito ai giovani che dovranno assumersi le loro responsabilità per il futuro.
Esiste una curiosa combinazione. Quando cominciai ebbi come partner uno dei politici valdostani di lungo corso sin dal dopoguerra, César Dujany. Ebbene, aveva quasi la stessa età che io ho oggi e devo dire che il suo lungo cursus honorum fu per me un esempio è uno stimolo a migliorarmi.
Chissà cosa direbbe di certo caos attuale in un mondo pieno di difficoltà e inquietudini. Quando lo andavo a trovare, persino quando era alle soglie dei cento anni, dimostrava una grande lucidità e mi spronava a darci dentro nell’affrontare le molte e spesso intricate questioni per il bene delle Valle, cui lui stesso aveva dedicato la vita con una carriera politica rimarchevole.
Oggi lo sento ancora vicino, così come mi sento come sospeso tra due sponde: il passato cui si deve guardare con interesse ma senza passatismo e il futuro che non ha più purtroppo quegli orizzonti dei miei vent’anni, ma anche la mia generazione deve continuare a dare quel che può dare, pensando ovviamente al dopo di noi, che diventa un’interessante e non negoziabile visione prospettica.