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31 dic 2024

L’autoresponsabilità in montagna

di Luciano Caveri

Fra le cose che ho visto nascere e crescere nella mia vita c’è sicuramente il soccorso in montagna.

Ero un giovane cronista RAI quando documentavo l’evoluzione della figura del soccorritore. La base era il Rifugio Monzino sul Monte Bianco e come guru delle nuove tecniche con l’uso dell’elicottero la guida alpina e mio amico, Franco Garda. I suoi eredi a capo del Soccorso Alpino valdostano hanno proseguito la strada dell’innovazione. Spicca ormai l’uso h24 del soccorso in montagna e sanitario con l’uso dell’elicottero su tutta la Valle d’Aosta.

Purtroppo - tornando ad allora - il accanto a questi reportages in positivo, accumulai anche servizi televisivi su grandi tragedie di montagna degli anni Ottanta del secolo scorso. Acquisendo così elementi per una convinzione: chi sceglie l’alpinismo nella maggioranza schiacciante dei casi è perfettamente consapevole dei rischi che corre, perché il pericolo è insito nell’esercizio di questa passione ed è difficile per chi non ne conosca certi meccanismi come luoghi di una bellezza mozzafiato possano, anche in un attimo, trasformarsi in posti in cui si può perdere la vita.

Talvolta emergono le idee di limitare la libertà degli alpinisti e qualche divieto ogni tanto è pure spuntato, ad esempio sul versante italiano del Cervino nei periodi di scariche di sassi . Ma in generale il mondo della montagna ha sempre considerato la scelta di salire le vette come un esercizio di autodeterminazione. Una spinta verso la sfida con sé stessi da accettare.

Certo nel tempo si è assistito alla presenza di dilettanti o improvvisati, che mettono a rischio i soccorritori che si devono impegnare per il loro salvataggio e le forme di sanzione in certi casi sono ancora limitati e bisognerà ragionarci sempre di più.

Ma questo non è il caso dei due alpinisti esperti morti sul Gran Sasso poche ore fa, dopo spasmodici tentativi di individuarli prima che il gelo li uccidesse, dopo una caduta in un canalone. Sono stati giorni concitati, perché una straordinaria ondata di maltempo stava investendo quella zona dell’Appennino.

Leggo su Repubblica questa notizia che lascia perplessi: ”Un esposto alla procura di Teramo perché indaghi per capire se si poteva fare qualcosa per salvare la vita a suo fratello Luca Perazzini, morto, insieme a Cristian Gualdi, sul Gran Sasso. Lo presenterà Marco Perazzini, che lo ha annunciato in un'intervista al Qn-Resto del Carlino, all'indomani della fiaccolata organizzata da amici e conoscenti a San Vito di Santarcangelo di Romagna, il loro paese”.

Segue una dichiarazione che, pur immagino dettata dal dolore per una perdita in circostanze così drammatiche, che suona così: « Io continuo a chiedermi - dice Marco Perazzini - perché non hanno impedito l'accesso a Luca e Cristian. Se le condizioni erano proibitive e c'erano dei rischi legati al maltempo, non dovevano farli salire. Né mio fratello Luca, né Cristian erano inesperti o sprovveduti, come qualcuno ha scritto invece in questi giorni. Amavano la montagna, ne conoscevano i rischi. Purtroppo è accaduta una disgrazia. I soccorritori hanno fatto quello che hanno potuto e li ringraziamo per tutto l'impegno. Ma penso che questa tragedia si poteva evitare".Secondo il fratello di una delle due vittime, infatti, "avrebbero dovuto impedire l'accesso a tutti gli alpinisti, come avviene in altre località. Luca e Cristian, purtroppo, sono stati colti di sorpresa dalla bufera e non hanno potuto fare nulla per salvarsi. Se avessero vietato a loro e ad altri escursionisti di salire, forse a quest'ora non staremmo qui a piangerli. Siamo distrutti. È dura, durissima. Non mi vengono nemmeno le parole" ”.

Non si capisce bene chi avrebbe dovuto fermare i due alpinisti, immagino forse i gestori dell’impianto che li aveva portati in quota e sfugge a che titolo e con quale autorità avrebbero potuto farlo. I due amici, considerati da tutti come esperti e con un buon curriculum di esperienze in montagna, avevano a loro disposizione tutti gli elementi - come ad esempio le previsioni del tempo oggi ormai largamente affidabili - per decidere se andare o non andare sul Gran Sasso.

Hanno scelto di proseguire, assumendosene la responsabilità e questo deve rimanere un elemento cruciale nell’attività alpinistica. Altrimenti dilagherebbe la logica, altrove applicata, della ricerca spasmodica di un responsabile che ha caratterizzato molti casi giudiziari in Italia, anche quando la colpa era del tutto soggettiva di chi era rimasto vittima di eventi che aveva coscientemente affrontato.